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Giovannino Borelli



figlio di Salvatore e Angela Gatto, nacque a Nicastro nel 1904.
Frequentò il quarto ginnasio, imparando a parlare ed a scrivere correttamente il latino ed il greco.
Avviatosi nel mondo del lavoro come assistente e capomastro nella rinomata ditta edile dei suoi fratelli, in occasione di alcuni lavori effettuati a Sambiase, conobbe Tommasina Renda, signorina del luogo che diventò presto sua moglie.
Di carattere allegro ed estroverso, suonatore di chitarra, componeva versi in vernacolo sambiasino.
Quale ultimo cantastorie, soleva declamare per le vie del paese la favola di "Cornalivari" (Carnevale).
Morì a Sambiase nel 1958.




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Salvatore Borelli



figlio di Giovannino e di Tommasina Renda, nasce a Sambiase nel 1930, nel rione " 'Mped' alivi " , di fronte alla casa in cui nacque e visse la sua infanzia il filosofo e patriota Francesco Fiorentino.
Dal padre, Salvatore, eredita oltre al carattere estroso, creativo ed allegro, la passione per la musica (in particolare per la chitarra) e la poesia.
Frequenta la scuola elementare sotto la guida della maestra Sabina Minnicelli, celebre insegnante, nota per le sue grandi doti pedagogiche, a lei dedicherà, in seguito, bellissimi versi in " 'A maìstra mia ":






(...) 'A scòla assimigliàva 'na nivèra
e ìlla cùmu a nnùa senza vrasèra.
'Ngrillàva e 'un la sintìamu lamintàri,
dava lla vita sua ppi lli sculàri. (...)






Dopo aver frequentato l'Avviamento, inizia a lavorare come muratore insieme al padre nell'impresa edile di suo zio.
Sul finire degli anni 60 fu assunto negli uffici del Comune di Lamezia Terme e scelse la mansione di messo notificatore al fine di poter stare a contatto con la gente.
Già da tempo, con alcuni inseparabili ed affiatati amici, aveva formato un trio musicale, con il quale allietava le occasionali compagnie e le varie feste.

 

Foto anni 50
 

Sul finire degli anni 70, quando tra le diverse forme di contestazioni, vi era quella "incivilissima" di deturpare i monumenti, accadde un episodio che turbò la sua sensibilità: la statua del Fiorentino, situata al centro dell'omonima piazza a Sambiase, fu imbrattata con delle bombolette spray.
L'episodio lo portò ad esternare quello che evidentemente, era già maturato dentro di sè.
Compose così la sua prima poesia dal titolo " Eranu i matinàti ".
A questa poesia ne seguono altre: " 'A pigna 'i Mazzìu ", " A ppraja 'i màri ", " Quàndu vinìa Natàli ", etc.
Nel 1983 la Pro Loco di Sambiase gli assegna il primo premio al Concorso di Poesia, intitolato alla memoria del suddetto filosofo.
Il 22 dicembre 1984 in occasione delle commemorazioni Fiorentiniane (centocinquantenario della nascita - centenario della morte) viene invitato a declamare le sue poesie nel Duomo di Sambiase.

 

 

Successivamente all'evento, numerosi studiosi locali si interessano ai suoi scritti. In modo particolare, l'amico Pasquale Funaro, appassionato studioso del mondo della poesia. A lui il Borelli spedisce i suoi manoscritti, vedendoseli restituiti stampati e completi di note.
Nel 1986 pubblica, per i tipi di Calabria Letteraria, il suo primo libro di poesia dialettale, dal titolo "Dùci e amàru".
Nel 1990 vince il Concorso di Poesia "Melania", indetto dalla Pro Loco di Maida.
Nel 1995 pubblica il suo secondo libro "Cùmu 'nu sùannu", che dedica alla figlia Tommasina, scomparsa per grave malattia, pochi mesi prima.




(... Ogni ttàntu addimmandàva:
- 'U lìbru l'ha' fhurnùtu? -
E cùmu si prijàva...
... è morta e 'un l'ha vidùtu!)




La cerimonia di presentazione, organizzata dal Centro Studi "Anthurium" di Lamezia Terme, si tiene il 3 giugno nella Sala Consiliare di Sambiase, gremita di gente, alla presenza delle autorità cittadine. Relatori della serata il Prof. Giuseppe Falcone, docente di dialettologia dell'Università di Messina e lo studioso, gia citato, Pasquale Funaro.


 

da sinistra:
l'autore, il Dott. Pietro Ruberto - Coordinatore "Centro Studi Anthurium", il Prof. Giuseppe Falcone ed il Cav. Pasquale Funaro.
 

Muore a Lamezia Terme, il 18 dicembre 2004.
Il 25 maggio 2005, presso il Cinema Astra di Lamezia terme, postumo, viene presentato il suo terzo libro dal titolo "Quàndu cànta lla cicàla", recensito dal prof. Pasquino Crupi, critico di letteratura calabrese e Pro Rettore dell'Università per Stranieri di Reggio Calabria, dal Prof. Luigi M. Lombardi Satriani, docente di etnologia presso la Facoltà di Lettere dell'Università "La Sapienza" di Roma e dal Vescovo della Diocesi di Lamezia Terme S.E. Mons. Luigi Cantafora.
La cerimonia. organizzata dalle Associazioni Culturali "Rotaract" e "Albatros" di Lamezia Terme, si svolge alla presenza di un folto pubblico in sala.

 

da sinistra
Mons. Luigi Cantafora, la Dr.ssa Rosa Petrone - Presidente Rotaract di Lamezia T., il Prof. Luigi M. Lombardi Satriani, la Prof.ssa Patrizia Nicolazzo - Presidente Associazione Culturale Albatros, il Prof. Pasquino Crupi.

 

 

Nel dicembre 2007 il Prof. Pasquino Crupi inserisce la sua poesia "Quandu vinìa Natàli" in una raccolta, da lui curata, di poesie natalizie dei maggiori poeti dialettali calabresi di tutti i tempi, dal titolo "NATALE - scendendo dalle stelle con i poeti del popolo", Edizioni "Città del Sole" (RC).
A maggio 2009 viene inserito a pieno titolo ne "La letteratura calabrese" per la scuola media, volume terzo,
cit., pp. 246-248, opera curata dal Prof. Pasquino Crupi (Luigi Pellegrini Editore, Cosenza).
Il 18 dicembre 2018, nel quartiere Savutano di Lamezia Terme, gli è stata intitolata una piazza.




 

Lamezia Terme - 18/12/2018 Intestazione Piazza Salvatore Borelli
 

SCRITTI CRITICI







(...) le sue poesie costituiscono un atto di fedeltà a un universo culturale, a una terra.
Esse modulano momenti di vita quotidiana, eventi di cronaca locale, episodi di vita paesana.
Con attenzione alla storia culturale e sociale della regione, viene reso omaggio, riprendendo suggestive metafore, a figure emblematiche della diaspora calabrese quale quella di Franco Costabile, e a personaggi di rilievo delle comunità locali.
Così come un omaggio viene reso al potere magico della natura, produttrice di bellezza e procuratrice di intense emozioni.
Vengono poi ripresi, vivificati dalla propria esperienza esistenziale, antichi motivi della poesia popolare tradizionale, così come antichi proverbi vengono riproposti attraverso considerazioni relative a eventi contemporanei.
In ogni caso, per questo loro dispiegarsi secondo un registro linguistico che, particolarmente oggi, ha un forte valore identitario, si ppongono globalmente come un atto di amore e, quindi, come celebrazione di vita, essendo, come ci ha avvertito un mistico in anni ormai lontani, l'amore vita, il disamore morte.






Luigi M. Lombardi Satriani








(...) Il rimpianto nostalgico, seppur poeticamente valido come tema, non appartiene nè interessa al poeta Borelli che sceglie di essere "cicala fino alla morte", sceglie cioè la via del canto spiegato, della parola liberata che si fa voce e testimonianza di un presente troppo impersonale rispetto ad un passato potente, granitico, forte e virile, prepotente vero, vivo e presente nelle coscienze di chi l'ha vissuto.
(...) Molto polisemico è il senso della poesia di Salvatore Borelli che ci offre nelle sue raccolte una dimensione regionale senza essere provinciale.
All'interno delle sue storie fatte di gesti umili, ma fertili, popolate di uomini "piccoli", ma giganteschi nella loro prepotente autenticità, si colgono gli echi violenti della storia e della vita presente, quella che ci priva degli affetti, che ci annebbia i ricordi, che ci travolge e ci umilia spersonalizzandoci. (...)






+ Luigi Cantafora







Salvatore Borelli si era affacciato alla poesia, che non gli fece il viso delle armi, nel 1986 con la raccolta "Dùci e Amàru". Raccolta che lo faceva già poeta maturo e nella quale egli era venuto definendo, una volta per tutte, ma senza cristallizzarlo, il suo mondo poetico: il microcosmo paesano. Che non è una ubbia eufemistica nella quale si occulta il piccolo paese, marginale e marginalizzato, periferico e periferizzato, municipale e municipalizzato, provinciale e provincializzato. Insomma, un mucchio di storie, che la cronaca si mette dietro le spalle e la storia neppure sfiora. Microcosmo, dunque, come mondo su scala ridotta dagli occhi geografici degl' intellettuali impellicciati, e, comunque, sempre mondo in cui si riflette, si specchia e finge di non riconoscersi la più larga vicenda umana.
Il paese di Salvatore Borelli non è puramente e semplicemente un luogo storico-geografico. Anche questo. E' soprattutto l'angolo visuale da cui si osserva, e la si preleva per versi intonati da un magistrale ed austero dialetto, l'altro mondo, che è fuori di Sambiase e fuori dalla Calabria, non infrequentemente contro Sambiase e contro la Calabria. E non si può dire davvero che il poeta si sia fatto intimidire e abbia deciso di cambiare strada. Salvatore Borelli, come tutti i grandi poeti dialettali, sa di non potersi staccare dal popolo suo. Per nulla. Ha, perciò, proseguito il suo cammino sullo stesso terreno e sullo stesso territorio con la seconda raccolta, edita nel 1995, "Cùmu 'nu sùannu", più insistita - rispetto a "Dùci e Amàru" - sul paese come centro di gravità delle ore, dei giorni, delle opere del paese e dei paesani. Ciò che emerge nitidamente e nettamente in " 'A Chjàzza ", poemetto e, perchè no?, poema al popolo in 22 composizioni a cui bisognerà sempre ritornare se si vuole entrare nella vita intima della nostra gente, nella sua vita morale, nei suoi rapporti circonferenziali con la realtà circostante. Nè solo. Con questo poema Salvatore Borelli dà alla letteratura dialettale calabrese di tutti i tempi il tema che le mancava e la storce da letteratura della campagna a letteratura del centro paesano urbano. Il poeta, poi, fa un altro passo avanti. Non solo e soltanto, poeta della piazza in cui vaga e si raccoglie il popolo nella totalità delle sue manifestazioni storiche. Si trasforma in poeta in piazza, come lo fu il più grande poeta della poesia dialettale del novecento, il siciliano di Bagheria, Ignazio Buttitta.
Non so Salvatore Borelli, come altro grande poeta siciliano, Salvatore Quasimodo, abbia appeso la cetra, non potendosi più cantare: lì per il piede straniero sopra il cuore, qui per l'accerchiamento totale della civiltà cittadina alla civiltà contadina. So, però, che questo importante poeta dialettale scrive quando sente di avere qualcosa da esprimere, quando il pensiero chiede la necessità di farsi parola. Lunghi, conseguentemente, si sono rivelati gli intervalli di tempo da una raccolta all'altra, e a queste poesie, che si affrettano ora a vedere la luce. E il tempo, che è galantuomo, gli ha dato ragione.
Son poesie vigorose queste poesie con le quali Salvatore Borelli si ripresenta al pubblico. Danno la prova provata, cioè testuale, di un cammino che congiunge al cuore antico il cuore presente. Offrono, una volta di più, il segno perspicuo di un Poeta alto, che continua a cercare dentro di sè e trova nella realtà la ininterrotta cicatrice di un peccato che non siamo riusciti ad espiare: il declino della Calabria. Solo baluardo verso la discesa negli inferi è il muro della memoria, e la memoriale poesia di Salvatore Borelli non è avara in questa direzione e su questo tema. Senza, tuttavia, scivolare nella nostalgia regressiva, che strabiomba nel passato, vale a dire che quello che non c'è più, e senza stupidamente lanciarsi nel futuro, che non c'è ancora.
Salvatore Borelli è poeta contemporaneo all'epoca sua, ossia poeta che sta con tutto se stesso dentro il presente, unico ponte tra il passato, che rivive in noi, e il futuro, che stiamo già costruendo: "Chìni 'un pensa alla vita passàta.../ ìci-cha... 'un ha futùru". Spiace, però, solo che l'erto poeta di Sambiase ce lo ricordi solo a tappe, forzate dal tempo. Ci ricordi, cioè, la nostalgia difficile di un'umanità migliore di cui è capace unicamente il poeta, qual egli è solidariamente, della nostalgia virile. Il poeta della fedeltà e della bellezza la quale coincide con l'espressione compiuta di un pensiero poetico in continua evoluzione nella costanza del tema. Esclusivamente, quando la ruota ritorna dal punto da cui si era smossa, resta la traccia. Tale è la poesia circolare di Salvatore Borelli.






Pasquino Crupi




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Giovannino Borelli

 

 

Giovannino Borelli nasce a Sambiase il 27 ottobre 1962.
Dal nonno e dal padre eredita la passione per la musica e la poesia.
Inizia giovanissimo lo studio della chitarra classica, conseguendo il Diploma presso il Conservatorio di Musica "Niccolò Piccinni" di Bari.
Tiene importanti concerti in Italia ed all'estero, sia come solista che in formazione da camera.
E' autore di diversi brani musicali.
Fa parte, da alcuni anni, del gruppo vocale-strumentale "Passione Mediterranea" e, dal 2015, del gruppo musicale "Risonanze d'Autore".
All'attività concertistica abbina quella didattica presso le scuole medie ad indirizzo strumentale.
Nell'estate del 2006, inizia a scrivere i primi versi in vernacolo sambiasino.
Il 21 giugno 2008, con la poesia 'U viàggiu ottiene la Menzione d'Onore al Concorso Internazionale di poesia Don Luigi Di Liegro di Roma.
Il 19 luglio 2008, al XII Concorso Internazionale di poesia Il Saggio-Città di Eboli , gli vengono conferiti il Diploma d'Onore per la poesia Ntr' 'o Cannatà ed il Premio Provincia di Salerno per la poesia Màlu tìampu 'astàti.
Nell'ottobre 2008, pubblica il suo primo libro di poesie in dialetto sambiasino, dal titolo M' 'a sùanu... e mm' 'a càntu... (Ursini Edizioni, Catanzaro).
Nel febbraio 2009 consegue, presso il Conservatorio di Musica "Fausto Torrefranca" di Vibo Valentia, il Diploma Accademico di Secondo Livello (Abilitante all'insegnamento - chitarra) con il massimo dei voti e la lode.
Nel mese di maggio 2009, al pari di suo padre, viene inserito ne "La letteratura calabrese" per la scuola media, volume terzo, cit., pp. 278-281, opera curata dal Prof. Pasquino Crupi (Luigi Pellegrini Editore, Cosenza).
Il 01 settembre 2009 vince il Premio "Micu Pelle" II Edizione per la Poesia Dialettale, indetto dall'Associazione Culturale "Don G. Trimboli" di Bova Marina (RC).
Nel dicembre 2010 è finalista alla XXII Edizione del Concorso Internazionale di poesia Giuseppe Gioachino Belli di Roma.
Nel febbraio 2012 pubblica una ricerca etnico-musicologica, dal titolo Liutai di Calabria, la musica popolare attraverso l'arte dei De Bonis (QualeCultura Edizioni, Vibo Valentia).
Nel giugno 2013 pubblica il suo secondo libro di poesie in dialetto sambiasino, dal titolo "Na spirànza" (Luigi Pellegrini Editore, Cosenza).
Il 27 luglio 2013 gli viene conferito il Premio Nazionale "Pericle d'Oro per la poesia 2013" di Bovalino (RC).
Nell'ottobre 2015 pubblica "Rìsi e cchànti" terzo libro di poesie nel dialetto calabrese di Sambiase.
Nel maggio 2017 pubblica la raccolta di poesie in lingua Dal mio terrazzo - Lepisma Edizioni, Roma.



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SCRITTI CRITICI




[…] La lettura di queste liriche riporta alla memoria i sapori scomparsi, gli usi e le tradizioni non più presenti in una società interessata da nuovi valori e da nuovi modelli di vita.
Il senso romantico della percezione della vita di quei tempi sarebbe errato interpretarlo come un mondo esclusivamente idilliaco, anche perché Borelli con la necessaria obiettività, di quei tempi recupera tutti gli aspetti: quelli piacevoli e quelli meno piacevoli. A questo ultimo ambito appartiene il tema dell’emigrazione, che trova la piena interpretazione nella lirica “Ntr’ ‘o Cannatà.” E’ una poesia che evidenzia l’emotività e la costante malinconia degli emigrati, che anche dopo cinquant’anni di assenza dal loro Paese vivono ancora pervasi dall’angoscia.
Nell’ultima parte del volume, Borelli recupera l’attenzione verso il presente, che offre spunti di riflessione preoccupanti e preoccupati. Su questa linea vengono esaltati i temi dominanti della nuova epoca ovvero della postmodernità. Di questa epoca Borelli ne descrive i nuovi comportamenti, i nuovi valori, le nuove convinzioni, che non sempre vengono condivisi dallo stesso. […]



Carmelo Carabetta
Docente di Sociologia della Famiglia
presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Messina.

Indroduzione a “M’ ‘a sùanu… e mm’ ‘a càntu…



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Tale il padre tale il figlio. Poeta di alto profilo il padre Salvatore Borelli, che ha arricchito la poesia dialettale con le raccolte Dùci e amàru(1986), Cùmu 'nu sùannu (1995) e Quandu canta lla cicala (2005), poeta di robusta fibra il figlio Giovannino, che questa nostra poesia dialettale contribuisce ad aumentare, a qualificare, a farla sentinella e custode del dialetto remoto M' 'a sùanu... e mm' 'a càntu... Dove riposa, senza alterazione e senza ingressi molesti di culture esterne e nemiche, l'intera civiltà del popolo calabrese.
M' 'a sùanu... e mm' 'a càntu... di Giovannino Borelli è un'opera prima, e l'opera prima, secondo codiceicanonico, è per sua natura sempre opera incompiuta. Qui, no. Giovannino Borelli si rivela poeta adulto, solo di tanto in tanto seduto sulle spalle del Padre, che è stato un poeta gigante. Lui, Giovannino, è poeta contemporaneo all'epoca sua, cioè poeta del tempo relativo, come hanno saputo esserlo i grandi poeti in lingua e in lingua dialettale.
Presente e passato, passato e presente rotolano di continuo in M' 'a sùanu... e mm' 'a càntu... : mai o quasi mai fraterni, sempre in antitesi lontana, senza reciprocante dialettica. Passato e presente, insomma, sono l'uno all'altro termine di paragone, non già due poli della Storia, che preparano un migliore futuro.
Sta in questo la novità smagliante della raccolta poetica di Giovannino Borelli. Non conosco nella lunga vicenda della poesia dialettale nessun altro poeta, che, come Giovannino Borelli, sia stato capace di stringere in una sintesi poderosa e prodigiosa le ragioni, liricamente dette, della stagnazione della Calabria, del suo sole nero cui tolgono ombra solo e soltanto i valori spirituali della civiltà contadina, le sue gagliarde feste, la facondia e la fecondità della natura. Il tutto riconvocato dall'orfismo dei versi di Giovannino Borelli, tecnicamente ben costruiti, ritmicamente perfetti, musicalmente compiuti.
Il giovane poeta può ora scendere dalle spalle del Padre, è tutt'e due ci invogliano a guardare con animo sorridente all'avvenire della poesia dialettale calabrese.



Pasquino Crupi

Critico di Letteratura calabrese
e Pro Rettore dell'Università per Stranieri
di Reggio Calabria.

Nota critica a "M' 'a sùanu... e mm' 'a càntu...



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[...] La poesia di Giovannino Borelli, come quella del padre, è musica della parola e del verso, è urgenza sematica e ritmica ad un tempo. I temi sono quelli di un passato fatto di piccole cose, di gesti semplici, sullo sfondo di una Calabria con le sue ombre di arretratezza, ma con i suoi accesi e vividi "fari", quelli dei valori rurali e contadini.
Si canta la religione della casa, della famiglia unita in comunione intorno al braciere per cantare quelle nenie che allargano il cuore e lo gonfiano di gioia. Si canta il valore dell'amicizia, del "vicino" con il quale si condivideva tutto, anche il pane; si canta l'attesa del postino che porta le buone nuove dei cari, forse lontani, insieme ai profumi dell tavola, il silenzio pomeridiano delle viuzze de paese, interrotto dal richiamo dei venditori ambulanti, contro l'assordante rumore delle nostre nevrotiche città, insieme alle feste religiose ed alla vitalità festosa della vendemmia. Si cantano il Natale triste del poeta e l'Epifania, notte sacra e magica ad un tempo nell'immaginario popolare dei fanciulli di ieri. [...]



+ Luigi A. Cantafora

Vescovo di Lamezia Terme.

Commento post-pubblicazione a "M' 'a sùanu... e mm' 'a càntu...



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Presentazione del libro "M' 'a sùanu... e mm' 'a càntu... - Teatro Umberto - Lamezia Terme, 25 ottobre 2008.
Da sinistra: il Prof. Massimo Sdanganelli, Presidente del Rotary Club di Lamezia Terme;
il Prof. Carmelo Carabetta, Docente di Sociologia della Famiglia presso la Facoltà di Scienze Politiche dell'Università di Messina;
Giovannino Borelli e il Prof. Pasquino Crupi, Critico di Letteratura Calabrese e Pro Rettore dell'Università per Stranieri di Reggio Calabria.































 

 

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[…] Giovannino Borelli appare in queste pagine come poeta maturo che nella sua lingua materna analizza il passato e il mondo che lo circonda ponendo anche il lettore nella necessità di riflettere: in questi ultimi anni non pochi sono gli studiosi che sentono la necessità di riscrivere la storia degli ultimi secoli del meridione d’Italia ed è forse necessaria anche una riflessione sulla massificazione linguistica in atto che ha ormai quasi cancellato l’uso quotidiano dei dialetti i cui termini hanno spesso rappresentato, fino ai nostri giorni, l’ultima testimonianza dell’alternarsi delle dominazioni straniere nel sud della nostra penisola.
La lingua storica di un popolo contiene anche la sua mappa genetica, quindi negli arcaismi spesso usati da Giovannino Borelli è scritta la storia di Sambiase, dagli abitanti preistorici che hanno lasciato i loro disegni neolitici nella cava del monte Sant'Elia fino ai nostri giorni.


Prof. Giuseppe Antonio Martino
Docente di letteratura presso le scuole superiori di II grado
e studioso dei dialetti calabresi

Dalla nota linguistica al libro “Na spirànza”(2013)



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[…] Giovannino ha il dono di saper pescare nel passato remoto e prossimo alcuni momenti di vita per farne momenti di meditazione e di “ritorno” (in senso quasimodiano) alle radici e lo fa con un senso dell’armonia efficace e di lunga durata. Infatti la lettura dei suoi versi lascia un alone nel lettore e lo accompagna a lungo. Ciò non solo perché i versi risultano musicali e ben torniti, ma anche per le cose dette, per la grazia e la profondità con cui si rivisitano le memorie. […]

Prof. Dante Maffia
Poeta, saggista, critico letterario, giornalista

Dalla prefazione del libro “Na spirànza”(2013)


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[…] La grande difficoltà e spesso la povertà della poesia vernacolare o dialettale, appunto, per usare la terminologia di Sansone e di Pancrazi, è che si è occupata spesso e volentieri di fatterelli, cioè hanno fatto cronaca, affidandosi a quella superficialità della rima, che spesso e volentieri veniva, con estrema facilità, quasi cantabile. Ma un cantabile molto superficiale, che non toccava l’anima, che non andava, come dire, a sibillare il sentimento interiore, le emozioni intime. Raccontavano i fatti come un giornalista fa la cronaca, con tutta la precisione, se volete, di questo mondo, ma senza coinvolgerci nell’avvenimento.
Invece, Giovannino Borelli ci coinvolge negli avvenimenti. Accennavo prima al senso della musica profonda che egli esprime attraverso le parole; quelle parole non sono usate a caso, esse vengono scelte non per la facilità che combacia con la rima, ma perché all’interno di quelle parole c’è un’esperienza.
Le parole se la portano dietro l’esperienza, sempre, nei secoli dei secoli. C’è un’esperienza profonda che accende in noi veramente delle situazioni straordinarie. […]
[…] Gli argomenti trattati sono molto vari, e anche questo è molto bello, perché di solito i poeti dialettali si fissano su determinati argomenti e sfilacciano fino all’inverosimile lo stesso fatto, lo stesso avvenimento, diventano, in qualche modo, dei cantastorie, con tutto il rispetto, perché è un discorso estremamente importante il mondo dei cantastorie, ma è una situazione diversa, non è di carattere poetico. E che cosa c’è di straordinario in questa poesia? C’è un discorso che nasce dalla capacità del poeta di riuscire (e qui sta proprio l’insieme del libro di 23 testi che hanno nella loro varietà, un sistema quasi organico che ne fa un piccolo romanzo), che va dal passato al presente; cioè, i fatti del passato, ad un certo punto, vengono colti nella loro essenzialità, ma non con quella nostalgia, che io chiamo sempre “miserabile”, che ci vuol far tornare indietro, ma con quella nostalgia di dire: “noi abbiamo avuto degli esempi profondi, abbiamo avuto la possibilità di vedere, attraverso alcuni personaggi, come la vita si svolgeva. Poi, la vita è cambiata, è andata oltre, ha avuto un mutamento, un risvolto, è diventata altro”. […]


Prof. Dante Maffia

Intervento in occasione della cerimonia di presentazione di “Na spirànza”.
Atrio Giuseppe Verdi – Lamezia Terme, 28 luglio 2013




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Alcuni di voi ricorderanno che io sono venuto qui, anzi eravamo a Nicastro, per parlare della poesia del padre di Giovannino Borelli. Fui spinto da un dovere etico, perché avevo scritto la prefazione al volume. Ma poi il tempo si incaricò di togliere da questo mondo il poeta Salvatore Borelli.
Ricordo che ero sano e vegeto, torno questa sera non in buone condizioni di salute: non lo dico per vittimismo, ma spinto da un altro dovere etico, che è quello che mi ha imposto di essere presente per parlare della poesia di Giovannino Borelli. Allora scrissi “Tale il padre, tale il figlio”. Se Giovannino Borelli non la prende come un’offesa…debbo dire, con questo suo secondo volume “Na spirànza”, il figlio risulta poeta migliore del padre.
Ma qua non si tratta di fare gare domestiche e faide familiari, si tratta di sottolineare il grande passo in avanti che Giovannino Borelli ha fatto dal 2008 di “M’ ‘a suànu…e mm’ ‘a càntu…” al 2013 di “Na spirànza”. […]

[…] Questo libro, rispetto al precedente, contiene una colorazione religiosa importante che è determinata dalla presenza della poesia dedicata a Natùzza, ma, poi, ci sono altre poesie intonate al Natale, ecc.
Qui non si tratta della religione dogmatizzata della Chiesa, qui siamo in presenza della religiosità popolare. In effetti, al popolo meridionale, tutti questi tramatori hanno negato anche il diritto di avere una fede.
Perché quando si parla della fede del popolo meridionale, non si parla di religione, si parla di pietà popolare. […]


Pasquino Crupi

Intervento in occasione della presentazione del libro "Na spirànza".(2013)




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[...]E' un'opera di particolare intensità espressiva in cui Borelli, premiato di recente a Bovalino con il "Pericle d'Oro" per la poesia dialettale, raggiunge punte di alta liricità. Le singole silloge, con testo in italiano a fronte e integrate da un ricco corredo di note che amplificano la valenza e la profondità dei contenuti, offrono al lettore un universo di valori e di modelli sociali del passato in un fertile dialogo comparativo con la contemporaneità. In esse il passato diventa la naturale dimensione storica di cui nutrire il presente in un costante travaso che, sul filo della memoria, rende preziosa l'operazione di recupero identitario attuata dal poeta anche attraverso un'appassionata ricerca delle origini e della purezza del dialetto.[...]
[...]Nelle pagine del volume "Na Spirànza" rinasce lo spessore etico della speranza che diventa valore salvifico di una terra spesso martoriata e preda della rassegnazione; in esse si coltiva il suo seme intriso di futuro che fermenta di nuova linfa poetica i versi, tradotti nelle sonorità, da scoprire o da riassaporare, del dialetto.



Teodolinda Coltellaro
Critica d'arte

L'Ora della Calabria , 5 agosto 2013
 

Presentazione del libro "Na Spirànza" di Giovannino Borelli. Lamezia Terme, Atrio G. Verdi - 28 luglio 2013.
Da sinistra: il Prof. Pasquino Crupi, l'Autore, il Prof. Dante Maffia e il Prof. Giuseppe A. Martino.
 

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[...]Questo libro parla di Calabria, parla di musica, di mistero, di amore, di viaggi e quindi di città e mi pare che sia una dovizia di interessi che il poeta tesse con estrema forza, cominciando subito, alla maniera di Pasquino Crupi, a bastonare i piagnoni che ancora ripetono, stancamente, le indignazioni di Franco Costabile e di Rocco Scotellaro ormai però sfilacciate e rese innocue.
E’ come se Giovannino Borelli volesse dirci che si può fare poesia sociale senza toni comiziali e senza retorica, indicando con semplicità le situazioni in atto, ritraendo momenti in cui il tempo si è fermato e non è riuscito a creare una finestra sul futuro.
Prendiamo la poesia dedicata al suocero, emblematica per comprendere come il poeta la pensa, per entrare nelle atmosfere che vengono sapute raccontare con mano decisa e fuori da ogni stereotipo.
Anche quando viene affrontato il tema dell’amore la mano di Giovannino è leggera, direi casta, e riesce a darci bagliori di un fuoco che sa vivere e tessere la felicità anche lontano dall’amata. Bellissimi i versi dedicati alle donne: lo stato d’animo del poeta diventa un paradiso al solo pensiero di loro. Ma forse il capolavoro del libro è quel momento in cui appare Miriam. Non si poteva meglio dire l’amore sconfinato per una donna che si desidera rappresentandosi belva che ha bisogno di nutrirsi. Ma c’è di più, la sezione Misteri ha qualcosa di metafisico che pone il poeta al centro di emozioni impalpabili in cui vengono riversati sogni e paure ancestrali, con una riuscita linguistica molto azzeccata e con un pathos che appartiene a chi si pone a scandagliare il senso recondito della vita.
Tanto è vero che nelle poesie troviamo perfino aforismi, o affermazioni importanti che arrivano dai sogni. “Il mondo è crudele”, “ai morti è concesso di sognare?”, “l’anima non muore”.
Borelli, in questa nebbia del mistero tenta anche la carta di una invenzione linguistica, l’incertitudine, come a voler sottolineare la precarietà dei pensieri fuggevoli…
In un momento in cui la poesia, in genere, ha perduto il suo alone e il suo fascino per colpa di sedicenti poeti che scrivono banalità e si rifugiano nei fuochi d’artificio linguistici gratuiti e privi di qualsiasi emozione, leggere poesia come questa di Borelli è una consolazione, perché egli non lascia niente nella vaghezza, dal suo terrazzo sembra vedere nitidamente ciò che si svolge nel mondo, ma anche nella sua intimità. Da qui le annotazioni in presa diretta, da qui il girovagare per le città, da qui la musica che avvolge in pienezza ed esalta.
Direi quindi che si tratta di una prova matura conquistata granello a granello, con impegno, con sacrificio, attento alle evoluzioni stilistiche, ai modi di porre in essere le vicende piccole e grandi della vita.
Il vizio dei critici è spesso quello di cercare gli antecedenti che hanno dato linfa ai nuovi poeti. Per Giovannino mi pare lampante che sia Umberto Saba, il poeta triestino che anche io adoro. E’ forse anche per questo che ho riscontrato nel libro una grande affinità, la voce suadente di un poeta che non ha bisogno di esagerare o di strafare per ottenere la bellezza di versi davvero indimenticabili.[...]


Dante Maffia
Dalla prefazione al libro "Dal mio terrazzo" (2017)

 

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